«Hanno ammazzato la sinistra» sento borbottare mestamente alla mia destra, mi volto e osservo l’amico, poggiato sul bancone dell’enoteca mi guarda col volto affranto. E’ alto e magro, ma ora sembra un elefante indiano in punto di morte. «Ma chi?» gli chiedo perplesso. «Eh, chi» fa lui «lo sanno tuti chi: questi nuovi, ragazzotti arrivisti senz’arte né parte. Non lo sanno mica cosa abbiamo passato noi negli anni ’70, i collettivi, gli scioperi, i cortei… ti ricordi? Ti ricordi? Ti ricordi?». E’ il commesso dietro al bancone (trent’anni, fuori sede, una stanza in affitto, laurea con lode in Scienze della Comunicazione, ufficialmente disoccupato, ufficiosamente assunto in nero, 7 euro l’ora) a riportarlo alla realtà: «Quante bottiglie, dottore?». Lui ci pensa qualche secondo corrugando la fronte «Mah, dammene sei, di quello buono però». Il ragazzo prende in mano il proprio cellulare e fa rapidamente il conto «Allora, sarebbero 72 euro ma facciamo 70» dice poi sorridendo. Il mio amico non lo ascolta, i suoi occhi si illuminano e parte all’attacco del demoniaco oggetto che il ragazzo tiene in mano «Vedi?» dice guardandomi feroce «ecco a cosa pensano oggi i ragazzi: ai telefonini, ai computer» fa una pausa per dare enfasi all’ultima parola, la più schifosa «alla tecnologia! E poi ci stupiamo se questi vincono?». «Ma questi chi?» chiedo nuovamente io, affascinato dal suo eloquio veloce e sicuro. Lui però non risponde, paga in contanti, chiede lo scontrino e soltanto quando usciamo, calzando un cappello di lana sui suoi radi bianchi capelli, torna a dedicarmi la sua attenzione. «Facciamo un salto in sezione?» mi chiede scandendo quest’ultima parola, sezione, con orgoglio. Da qualche anno tutti le chiamano “circoli”, ma lui è giustamente contrario a svilire un concetto così pregnante per la storia del Partito. Non aspetta la risposta e s’avvia sicuro «Oggi il problema è semplice, chi vota non capisce più niente» dichiara a passo svelto mentre accende una sigaretta «si fa abbindolare dal primo che parla, noi abbiamo la fatto la storia, la storia del Partito e del paese! Un tempo marciavamo tutti uniti, adesso chi va da una parte, chi da un’altra, ma tu li capisci? E poi tutti a strumentalizzare, a far polemica, ma che avete sempre da lamentarvi?». Attraversiamo il viale alberato e mi ricordo che più avanti c’è una pasticceria che adoro, ecco si, è proprio lì, dietro quell’ angolo. Sono pasticcieri da generazioni, io conoscevo pure il papà buonanima, e fanno delle paste alla fragola che ci vengono dall’altra parte di Roma per comprarle. Voltato l’angolo però non sono le paste alla fragola a rapire il mio sguardo, ma una saracinesca chiusa su cui troneggia una cartello anonimo che mi fa rabbrividire: Affittasi. Smetto di camminare e mi guardo intorno, ma si era questo il posto. «E la pasticceria?» chiedo quindi allarmato al mio amico, lui alza le sopracciglia e scuote la testa «Eh, che ti devo dire, hanno chiuso la settimana scorsa, fallito, kaput. Poveracci, ma che vuoi farci? La disoccupazione, gli investitori stranieri che se ne vanno, la borsa e tutta quella roba lì. Ma mica è colpa del Partito se c’è la crisi, si fa quel che si può. Poi sai come la penso, tutto l’amore del mondo, ma non mi toccassero la pensione da statale che ci metto poco a chiamare il Sindacato, gli alzo un vespaio che vedi!” conclude poi, ridendo nervosamente e tossendo. Quando arriviamo davanti alla sezione ci accorgiamo che il cancello principale è chiuso a chiave, proviamo a sbirciare dentro ma niente, il Segretario non c’è, non possiamo entrare. Gli occhi del mio amico, nonostante l’espressione contrariata, ridono «Ah! Lo vedi? Chiuso! Qui dentro abbiamo fatto la storia del Partito ed ora è sempre chiuso». Gli faccio presente che, effettivamente, il Segretario l’aveva comunicato che la mattina non avrebbe potuto aprire perché lavora al centro commerciale (certo un po’ pochino con la sua Laurea in Giurisprudenza, ma bisogna accontentarsi, si). Lui scuote la testa in segno di sdegno «E allora non facesse il Segretario, la sezione è la casa del popolo e deve essere aperta tutto il giorno». Mi vergogno d’aver detto una tale banalità e, per cambiare discorso, gli mostro l’annuncio che è stato messo in bacheca ieri, scorrendo col dito leggo ad alta voce la scritta rossa su fondo verde “IL GIORNO 16 OTTOBRE SIETE TUTTI INVITATI ALLA GIORNATA DI SOSTEGNO PER I SENZA FISSA DIMORA. POTETE PORTARE COPERTE, MAGLIONI E VIVERI (PREFERIBILMENTE SCATOLAME O CMQ PRODOTTI A LUNGA SCADENZA). GRAZIE”. Andiamo?» gli propongo «a casa ho tutti i maglioni che mia figlia non usa più, li posso portare». Lui mi gela con lo sguardo «Ma sei pazzo?» capisco di aver detto un’altra sciocchezza «quest’evento è organizzato da Tizio, della corrente di Caio. Sicuramente dietro c’è Sempronio, figurati. Eh certo, noi andiamo, lavoriamo e quello si prende il merito. Caro mio, non è più mica come quando le cose le organizzavamo noi: le collette, le manifestazioni di studenti ed operai, contro la repressione, rilanciare la lotta…ti ricordi? Ti ricordi? Ti ricordi?” lo scuoto brevemente e ritorna presente, pur continuando a sorridere beato «Piuttosto senti me, il 16 c’è la presentazione della conferenza che ho organizzato a Trastevere» tira fuori dalla tasca un volantino e lo legge orgoglioso «“Camus incontra Marx: una lettura transculturale sull’evoluzione del lavoro. Esigiamo la vera ricchezza: quella morale» alza il dito e mi guarda negli occhi con aria solenne «Un fine che ha bisogno di mezzi ingiusti, non è un fine giusto. Bello, eh?». Devo ammettere di aver capito poco ma immagino sia un mio limite e annuisco sorridendo. Avrà di certo ragione lui, le coperte ai barboni le porterò un’altra volta ed effettivamente Sempronio sta antipatico pure a me. Tornando verso casa sembra tornare triste «Hanno ammazzato la sinistra, ecco la verità, hanno ammazzato il Partito. Vogliono fare tutti i dirigenti, tutti i medici, tutti i generali». Il rumore dei passi riempie le mie orecchie e mi viene in mente quella vecchia canzone. Non c’è più morale, Contessa.
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Agosto 2017
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